Prendo spunto da un bellissimo e godibile libro di Michele Smargiassi in cui affronta il tema del rapporto della fotografia con
la realtà e con la verità, del cambiamento di questo rapporto nel tempo, ed in
particolare dopo l’avvento del digitale…
anche a me capita di sentir affermare perentoriamente che la fotografia non ha mai avuto nulla a che vedere con il soggetto che raffigura (o mostra, che non è proprio lo stesso), che finalmente con
il digitale la fotografia si è liberata dal falso vincolo della verità.
Ritengo che prima di iniziare a discutere,
anche litigare al limite, si debba stabilire di cosa stiamo parlando, che cosa sia la fotografia.
Premetto che io sono convinto che la
fotografia sia una cosa diversa dalla pittura... è un'affermazione apparentemente banale, ovvia, ma se nella pittura comprendiamo qualsiasi forma di espressione artistica grafica (acquerello, oli, tempere, matita, computergrafica, aerografo e così via) allora non è così ovvia e condivisa.
Il medium, ogni medium, può e deve cambiare, deve evolversi,
se resta uguale a sé stesso vuol probabilmente dire che stagna, che ormai ha
dato il suo... Ma cambiare ed evolversi non vuol dire diventare altro (solo in
certi romanzi di fantascienza gli uomini cambiano fino a diventare qualcosa di
diverso dall'Uomo ed irriconoscibile, e di solito sono Mostri).
Tutto diventa e si trasforma (non è di ieri il famoso panta rei): la fotografia alle origini era il dagherrotipo o le immagini al bitume di Giudea di Niepce, oggi sono impulsi elettrici memorizzati in un file, ma non era (e per me non è e non sarà) lo stesso che un dipinto...
Peccato che il ”falso vincolo con la verità” l'abbiano
imposto a posteriori gli altri, quelli che la fotografia la volevano usare, per
dimostrare o per nascondere la loro personale verità.
Le foto di gruppo del
politburo che perdevano pezzi (persone) man mano che cadevano in disgrazia, mostrano quanto la verità (della esistenza stessa di una persona) sia
aleatoria, e senza dover scomodare il digitale. Se lo chiedeva già Pilato un po' più di 2000 anni fa, cosa mai fosse questa Verità...
Peccato che l’obsoleto e superfluo vincolo con il referente
sia assente solo se per fotografia intendiamo qualsiasi immagine fotorealistica
(ed anche qui, nel termine ormai comune - che oltretutto nasce per definire una corrente pittorica degli anni '60-'70, e certamente quei pittori non avrebbero gradito sentir definire le proprie opere come fotografie, solo perché tali sembravano - si vede l'abitudine a considerare la
fotografia paradigma di realtà, quando non addirittura di verità).
Ci sono "disegni" ad aerografo che sembrano
raffigurare la realtà (cioè sembrano fotografie), ci sono immagini di
computergrafica che sembrano raffigurare la realtà (cioè sembrano fotografie);
queste immagini sono totalmente svincolate dal referente (cioè dal soggetto
raffigurato)… ma non riesco a credere che si possano definire fotografie:
dagherrotipo, calotipo, ambrotipo, polaroid, kodachrome, negativo, diapositiva,
colore, BiancoNero, hanno sempre avuto in comune la presenza di un oggetto
reale davanti ad una scatola e la luce che forma la sua immagine su un supporto
sensibile, ed ora con il digitale abbiamo l'oggetto, la scatola, la luce ed il
supporto sensibile... Cosa cambia da prima, nel rapporto con l’oggetto
raffigurato e con la verità?
Mi pare fosse Ferdinando Scianna a dire che puoi disegnare
(aggiungo io, oggi anche con un computer) a memoria, ma non puoi fotografare a memoria... senza una
realtà da fotografare non fai fotografia, fai arte grafica, fai pittura, fai
disegno, fai letteratura visuale, fai quel che ti pare, ma non fotografia.
Se scrivo con la matita o con la stilografica, con il computer su uno schermo o con la Olivetti Lettera 32, le mie parole sono più o meno vere?
la parola non è vincolata alla realtà... posso scrivere di draghi e di fate e con qualsiasi mezzo io lo faccia (pietra e scalpello, che sicuramente sono "tracce indelebili delle mie parole", carta e penna, che già sono meno indelebili, schermo del tablet, sul quale sicuramente le parole sono immateriali, totalmente "virtuali"...) i draghi e le fate resteranno fantasia.
La fotografia al contrario dipende dalla realtà, alla realtà è inchiodata... non posso fotografare draghi e fate (Nessie e le fatine di Cottingley per me ne sono le prove), posso fare delle immagini che sembrino fotografie di fate, ma se (come nei due esempi) erano vere fotografie, non erano veri il "drago" e le "fate", se non nel senso che erano oggetti reali, veri, concreti...
E ancora una volta si torna al legame della fotografia con la realtà. Quelle foto sono vere o false secondo i punti di vista: non sono "vere foto di vere fate", sono "vere foto di false fate", la falsità cioè è nella didascalia, nelle intenzioni dell'autore, non nella fotografia; senza le fatine di carta non sarebbero state fotografie, ma fotomontaggi, collage (come quelli di Heartfield, per fare un nome tra tanti).
Nessuno penserebbe mai che siccome oggi la letteratura si scrive al computer ormai è una cosa diversa, che Dante era "letteratura" e l'ultima raccolta di poesie di Roversi è una cosa diversa... ed io sarò retrogrado e ignorante ma proprio non capisco perché per la fotografia invece questo cambio da una metodica di produzione all'altra cambi anche il significato ed il valore della cosa prodotta.
Che ci piaccia o meno, se facciamo una fotografia (sempre se
per fotografia non intendiamo un’immagine che somigli ad una fotografia, che sembri mostrare un oggetto reale) costruiamo, con il tramite di
una macchina, un’immagine di una realtà, un'immagine che senza quella realtà non può esistere: nella fotografia non c’è una qualsiasi sedia, non un’altra sedia, ma proprio quella sedia che era lì
quando è stata fotografata, non in un qualsiasi luogo, non un altro luogo,
ma proprio quello dove è stata fotografata, non in un qualsiasi momento, non un
altro momento, ma proprio quel
momento in cui è stata fotografata…
e così via: per ogni “qualsiasi”, per ogni “altro”
che vi venga in mente, c’è il “proprio quello”…
Noi osservatori non sappiamo quale sedia fosse, quale luogo
fosse, che momento… Ma sappiamo che in quella foto c’è una sedia, in un luogo
ed in un momento.
Potrei dire che quella fotografata è la sedia di Picasso, potrei dire
che è la sedia su cui Chaplin scrisse la sceneggiatura de il dittatore, potrei dire quel che mi pare, e voi non avreste modo
dalla fotografia di capire se sto dicendo la verità (NB: io, non la
fotografia).
Io amo dire con un gioco di parole un po' banale che la fotografia non ha mai giurato di "dire la verità, tutta la verità nient'altro che la verità" (non tutta, non sempre, e non necessariamente), ma sono convinto che invece non possa non "dire" sempre e per forza la realtà.
Una fotografia, un dipinto, un disegno, o un'immagine di computergrafica raffigurano tutti un oggetto, ma solo la fotografia mostra un oggetto.
E tra mostrare e raffigurare c'è una differenza enorme, non solo in termini semantici...