martedì 9 luglio 2013

devo forse delle scuse a chi si prende la briga di leggere queste mie elucubrazioni...

per mia scelta non metto se non in casi rarissimi link esterni alle cose che cito, e non inserisco nessuna immagine nei miei post, nemmeno quelle di cui esplicitamente parlo.
Ammetto che sia una imperdonabile pigrizia da parte mia, ma come scusa mi dico che è una scelta volta a stimolare gli eventuali lettori a cercare le cose cui mi riferisco, a documentarsi se non conoscono quello di cui parlo, a partire dalla soglia di casa e vedere dove li porta la strada, saltando di link in link, vagabondando da una foto ad una poesia, da un saggio ad un film...

Il mondo è colorato

 "http://www.repubblica.it/esteri/2013/06/19/foto/norman-61422044/1/?ref=fbpr#3

è stranissimo vedere delle foto dell'epoca a colori, sembra un paradosso, ma il colore è stato davvero una rivoluzione... pensando al passato e vedendo immagini d'epoca senza rendersene conto si associano i toni di grigio delle foto ai colori che aveva il mondo all'epoca
ma il mondo è sempre stato colorato"
Questa riflessione (di una persona che stimo moltissimo) sembra banale, superficiale, ovvia... ma nasconde un ben più profondo aspetto di quella che recentemente ho sentito definire - non del tutto a sproposito - "filosofia della fotografia".
Non solo noi consideriamo "realistica" una foto in bianco e nero d'epoca, non solo nessuno mai penserebbe di dire che una foto è veritiera o falsa solo perché è in bianconero o a colori, ma più o meno inconsciamente attribuiamo alle foto in BN un valore diverso, una diversa patente, di artisticità da un lato e di maggior valore giornalistico dall'altro.

Alzi la mano chi davanti ad una foto poco soddisfacente non ha mai sentito dire o non ha mai detto "prova a convertirla in BN"!!! Come se una brutta foto si nobilitasse per il solo fatto di perdere i colori... Senza voler entrare nella polemica (a mio parere sterile e "fuori bersaglio") sulla validità del BN in digitale, una foto in BN, che sia acquisita su pellicola o con un sensore elettronico, nasce (o dovrebbe nascere, come qualsiasi foto) nella testa del fotografo già in BN, un po' come Atena che nacque già adulta dalla testa di Zeus.
L'idea sarebbe, immagino, che essendo il BN meno vicino all'apparenza della nostra esperienza quotidiana, è più facilmente svincolabile dall'obbligo di verità (chi ha letto il mio post di pochi giorni fa saprà cosa penso della verità  della realtà in fotografia), di pura ed obiettiva (e come no!) documentazione; e così, si pensa che automaticamente porti ad essere artisti. 
E quindi torniamo a quel che ho scritto poche righe più su: una foto o un dipinto, o una scultura, o un romanzo, nascono già come tali nella testa dell'autore, che poi correggerà, limerà, nel tempo magari modificherà con nuove versioni (vogliamo citare il buon Manzoni? o, per restare in fotografia, Ansel Adams?), ma se si parte con un romanzo, non se ne fa una poesia, e certo non perché come romanzo lascia a desiderare.

E poi, all'opposto, ci sono quelli che considerano seria, degna, valida la fotografia di reportage (qualsiasi cosa significhi reportage) solo ed unicamente se in BN.
il reportage dell'epoca d'oro, quello che è nel mito di molti appassionati di fotografia (quello di Capa, di Cartier-Bresson, di Berengo Gardin, giusto per fare un po' di nomi ) è in BN, ma soprattutto perché le pellicole a colori dell'epoca non erano all'altezza delle necessità, e soprattutto perché buona parte dell'editoria giornalistica era in BN; e poi, spuntano le foto nel link all'inizio di questo post che mostra foto di reportage di azione a colori... e le foto di Epoca (periodico degli anni d'oro del giornalismo illustrato italiano) che erano quasi tutte a colori... e allora?
E allora il colore non aggiunge verità ad una foto, il BN non aggiunge artisticità o significato ad una foto,  l'uno e l'altro non mettono nella foto nulla che non ci fosse già, nella realtà davanti l'obiettivo e/o nella testa del fotografo...
il BN è una "traduzione" (mi perdonino i semiologi che improbabilmente si trovassero a leggere!) della realtà in una lingua alla maggior parte di noi (daltonici a parte) estremamente poco comprensibile, e per questo, come le canzoni in una lingua che non conosciamo ci sembrano meno banali, ci appare portatore di chissà quali efficacie comunicative (il giornalismo) o espressive (l'Arte).

Noi siamo condizionati a vedere certe immagini in BN, così come per quelli della mia generazione le sculture non hanno tonalità, i marmi son tutti uguali (grazie agli Alinari) e scoprire che il Mosè ha un colore totalmente diverso dalla pietà è una sorpresa.
Allo stesso modo inconsciamente abbiamo ricostruito un mondo passato in cui i vestiti, le uniformi, gli oggetti erano in toni di grigio, i mezzi militari statunitensi avevano lo stesso "colore" di quelli dei loro avversari, e su quello ci basiamo.
Non è l'assenza del colore a fare di certe foto un documento estremamente simbolico (un'Icona, per parlar da semiologi, sempre nella speranza che non mi legga nessun semiologo) , come non è la presenza del colore a fare di una foto dello sbarco in Normandia un falso... anche se quelle foto sembrerebbero (verosimilmente per problemi di sensibilità della pellicola) posate, prese dopo la battaglia, magari con i soggetti messi in bell'ordine a recitare la propria vita, sono foto autentiche, e oltretutto non vogliono nemmeno fingere di essere foto di battaglia. Anzi, il loro interesse è proprio nel mostrare quello che di solito non si vede: il dopo, i momenti che seguono alla concitazione della battaglia, all'entusiasmo della liberazione o al dolore dell'invasione.

Insomma, questa sconclusionata (più del solito) paginetta di chiacchiere a cosa vuole arrivare?
a due conclusioni in un certo senso opposte, o meglio complementari:
Non basta una qualsiasi elaborazione (in camera oscura o in camera chiara) per fare di una brutta foto un'opera d'arte...
e non esiste una tecnica fotografica (o video o letteraria, se è per quello) che da sola dia una patente di onestà giornalistica e/o documentaria.
Corollario di questa affermazione (banale quanto vi pare, ma non per questo meno vera e meno necessaria, a giudicare da quel che si legge in giro) è che il contrario, cioè l'uso di una tecnica piuttosto che un'altra o la costruzione di un'immagine (componendone gli elementi, al limite anche spostandone alcuni (come forse ha fatto per esempio Steve McCurry nella sua famosa foto della ragazza afgana o Samuel Aranda nel riconoscere la citazione e nello scegliere più o meno consciamente il miglior punto di vista per la sua pietà Yemenita) non è condizione sufficiente per bollarla di falsità e tacciare di mendacio il suo autore.


giovedì 27 giugno 2013

verità vò cercando...

Prendo spunto da un bellissimo e godibile libro di Michele Smargiassi in cui affronta il tema del rapporto della fotografia con la realtà e con la verità, del cambiamento di questo rapporto nel tempo, ed in particolare dopo l’avvento del digitale…

anche a me capita di sentir affermare perentoriamente che la fotografia non ha mai avuto nulla a che vedere con il soggetto che raffigura (o mostra, che non è proprio lo stesso), che finalmente con il digitale la fotografia si è liberata dal falso vincolo della verità.
Ritengo che prima di iniziare a discutere, anche litigare al limite, si debba stabilire di cosa stiamo parlando, che cosa sia la fotografia.
Premetto che io sono convinto che la fotografia sia una cosa diversa dalla pittura... è un'affermazione apparentemente banale, ovvia, ma se nella pittura comprendiamo qualsiasi forma di espressione artistica grafica (acquerello, oli, tempere, matita, computergrafica, aerografo e così via) allora non è così ovvia e condivisa. 
Il medium, ogni medium, può e deve cambiare, deve evolversi, se resta uguale a sé stesso vuol probabilmente dire che stagna, che ormai ha dato il suo... Ma cambiare ed evolversi non vuol dire diventare altro (solo in certi romanzi di fantascienza gli uomini cambiano fino a diventare qualcosa di diverso dall'Uomo ed irriconoscibile, e di solito sono Mostri).
Siamo tutti d'accordo, spero, che tra le pitture rupestri di Lascaux e le pin-up di Sorayama la differenza è solo di tecnica, ma appartengono entrambe alla stessa filogenesi espressiva.
Perché lo stesso non dovrebbe valere per la fotografia?
Tutto diventa e si trasforma (non è di ieri il famoso panta rei): la fotografia alle origini era il dagherrotipo o le immagini al bitume di Giudea di Niepce, oggi sono impulsi elettrici memorizzati in un file, ma non era (e per me non è e non sarà) lo stesso che un dipinto...

Peccato che il ”falso vincolo con la verità” l'abbiano imposto a posteriori gli altri, quelli che la fotografia la volevano usare, per dimostrare o per nascondere la loro personale verità.
Le foto di gruppo del politburo che perdevano pezzi (persone) man mano che cadevano in disgrazia, mostrano quanto la verità (della esistenza stessa di una persona) sia aleatoria, e senza dover scomodare il digitale. Se lo chiedeva già Pilato un po' più di 2000 anni fa, cosa mai fosse questa Verità...

Peccato che l’obsoleto e superfluo vincolo con il referente sia assente solo se per fotografia intendiamo qualsiasi immagine fotorealistica (ed anche qui, nel termine ormai comune - che oltretutto nasce per definire una corrente pittorica degli anni '60-'70, e certamente quei pittori non avrebbero gradito sentir definire le proprie opere come fotografie, solo perché tali sembravano - si vede l'abitudine a considerare la fotografia paradigma di realtà, quando non addirittura di verità).
Ci sono "disegni" ad aerografo che sembrano raffigurare la realtà (cioè sembrano fotografie), ci sono immagini di computergrafica che sembrano raffigurare la realtà (cioè sembrano fotografie); queste immagini sono totalmente svincolate dal referente (cioè dal soggetto raffigurato)… ma non riesco a credere che si possano definire fotografie: dagherrotipo, calotipo, ambrotipo, polaroid, kodachrome, negativo, diapositiva, colore, BiancoNero, hanno sempre avuto in comune la presenza di un oggetto reale davanti ad una scatola e la luce che forma la sua immagine su un supporto sensibile, ed ora con il digitale abbiamo l'oggetto, la scatola, la luce ed il supporto sensibile... Cosa cambia da prima, nel rapporto con l’oggetto raffigurato e con la verità?

Mi pare fosse Ferdinando Scianna a dire che puoi disegnare (aggiungo io, oggi anche con un computer) a memoria, ma non puoi fotografare a memoria... senza una realtà da fotografare non fai fotografia, fai arte grafica, fai pittura, fai disegno, fai letteratura visuale, fai quel che ti pare, ma non fotografia.

Se scrivo con la matita o con la stilografica, con il computer su uno schermo o con la Olivetti Lettera 32, le mie parole sono più o meno vere?
la parola non è vincolata alla realtà... posso scrivere di draghi e di fate e con qualsiasi mezzo io lo faccia (pietra e scalpello, che sicuramente sono "tracce indelebili delle mie parole", carta e penna, che già sono meno indelebili, schermo del tablet, sul quale sicuramente le parole sono immateriali, totalmente "virtuali"...) i draghi e le fate resteranno fantasia.
La fotografia al contrario dipende dalla realtà, alla realtà è inchiodata... non posso fotografare draghi e fate (Nessie e le fatine di Cottingley per me ne sono le prove), posso fare delle immagini che sembrino fotografie di fate, ma se (come nei due esempi)  erano vere fotografie, non erano veri il "drago" e le "fate", se non nel senso che erano oggetti reali, veri, concreti...
E ancora una volta si torna al legame della fotografia con la realtà. Quelle foto sono vere o false secondo i punti di vista: non sono "vere foto di vere fate", sono "vere foto di false fate", la falsità cioè è nella didascalia, nelle intenzioni dell'autore, non nella fotografia; senza le fatine di carta non sarebbero state fotografie, ma fotomontaggi, collage (come quelli di Heartfield, per fare un nome tra tanti).


Nessuno penserebbe mai che siccome oggi la letteratura si scrive al computer ormai è una cosa diversa, che Dante era "letteratura" e l'ultima raccolta di poesie di Roversi è una cosa diversa... ed io sarò retrogrado e ignorante ma proprio non capisco perché per la fotografia invece questo cambio da una metodica di produzione all'altra cambi anche il significato ed il valore della cosa prodotta.

Che ci piaccia o meno, se facciamo una fotografia (sempre se per fotografia non intendiamo un’immagine che somigli ad una fotografia, che  sembri mostrare un oggetto reale) costruiamo, con il tramite di una macchina, un’immagine di una realtà, un'immagine che senza quella realtà non può esistere: nella fotografia non c’è una qualsiasi sedia, non un’altra sedia, ma proprio quella sedia che era quando è stata fotografata, non in un qualsiasi luogo, non un altro luogo, ma proprio quello dove è stata fotografata, non in un qualsiasi momento, non un altro momento, ma proprio quel momento in cui è stata fotografata…  e così via: per ogni “qualsiasi”, per ogni “altro” che vi venga in mente, c’è il “proprio quello”…
Noi osservatori non sappiamo quale sedia fosse, quale luogo fosse, che momento… Ma sappiamo che in quella foto c’è una sedia, in un luogo ed in un momento.
Potrei dire che quella fotografata è la sedia di Picasso, potrei dire che è la sedia su cui Chaplin scrisse la sceneggiatura de il dittatore, potrei dire quel che mi pare, e voi non avreste modo dalla fotografia di capire se sto dicendo la verità (NB: io, non la fotografia).

Io amo dire con un gioco di parole un po' banale che la fotografia non ha mai giurato di "dire la verità, tutta la verità nient'altro che la verità" (non tutta, non sempre, e non necessariamente), ma sono convinto che invece non possa non "dire" sempre e per forza la realtà.
Una fotografia, un dipinto, un disegno, o un'immagine di computergrafica  raffigurano tutti un oggetto, ma solo la fotografia mostra un oggetto. 
E tra mostrare e raffigurare c'è una differenza enorme, non solo in termini semantici...